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Omesso versamento IVA: la Consulta si pronuncia sulle soglie di punibilità di cui all’art. 10-ter D. Lgs. 74/2000

Scritto da Redazione Giurisprudenza Penale il 8 aprile 2014

Corte Costituzionale, Sentenza numero 80 del 7 aprile 2014
Presidente Silvestri, Relatore Frigo

Depositata il 7 aprile 2014 la pronuncia numero 80 della Corte Costituzionale relativa alla legittimità delle soglie di punibilità previste dall’art. 10-ter del D. Lgs. 74/2000 per i fatti di omesso versamento IVA commessi sino al 17 settembre 2011.

Per comprendere la portata della pronuncia occorre, tuttavia, riepilogare brevemente i fatti alla luce, soprattutto, degli interventi legislativi del 2011 (ci riferiamo al D.L. 13 agosto 2011, n. 138 convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148) sulle soglie di punibilità previsti dall’art. 4 (dichiarazione infedele) e dall’art. 5 (omessa dichiarazione) del D. Lgs. 74/2000.

La norma incriminatrice di cui all’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000 – osservano i giudici costituzionali – delinea il reato di «omesso versamento di IVA» e mira a colpire i fenomeni di evasione che si realizzino nella fase successiva a quella di determinazione della base imponibile: vale a dire, nella fase di riscossione dell’imposta. Tale norma, in particolare, stabilisce che «la disposizione di cui all’articolo 10-bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo» e, per come è strutturata, protegge l’interesse del fisco alla riscossione dell’imposta così come “autoliquidata” dallo stesso contribuente: si desume, infatti, chiaramente dalla lettera della norma che, presupposto per la sua applicazione è che il soggetto di imposta abbia presentato la dichiarazione annuale ai fini dell’IVA, dalla quale risulti un saldo debitorio superiore a 50.000 euro, senza che sia seguito il pagamento, entro il termine previsto, della somma ivi indicata come dovuta.
Il richiamo della norma censurata all’art. 10-bis dello stesso d.lgs. n. 74 del 2000, oltre ad individuare il trattamento sanzionatorio (reclusione da sei mesi a due anni), vale ad estendere alla violazione in esame la soglia quantitativa di punibilità stabilita dalla disposizione richiamata per l’omesso versamento di ritenute («nei limiti ivi previsti»). L’omesso versamento dell’IVA di cui all’art. 10-ter costituisce, di conseguenza, reato solo se di «ammontare superiore a 50.000 euro per ciascun periodo di imposta».

Esaurito questo breve riepilogo sull’art. 10-ter del D. Lgs. 74/2000, emerge allora un evidente difetto di coordinamentotra la soglia di punibilità inerente al delitto in questione e quelle relative ai delitti in materia di dichiarazione di cui all’ art. 4 (dichiarazione infedele) e all’art. 5 (omessa dichiarazione) del D. Lgs. 74/2000.
L’art. 5, ad esempio, in tema di omessa dichiarazione, richiedeva (fino all’intervento legislativo del 2011) per la punibilità della omessa dichiarazione che l’imposta evasa fosse superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, ad euro 77.468,53. Ciò comportava l’illogica conseguenza che, per un’IVA situata tra i 50.000 e i 77.468,53 euro, veniva trattato in modo deteriore chi avesse presentato regolarmente la dichiarazione IVA, senza versare l’imposta dovuta in base ad essa, rispetto a chi non avesse presentato la dichiarazione.
Proprio per far venir meno tale discrasia, nel 2011 il legislatore (con il citato D.L. 13 agosto 2011, n. 138 convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148) è intervenuto riducendo la soglia di punibilità della omessa dichiarazione da 50.000 euro a 30.000 portandola, dunque, ad un importo inferiore rispetto a quello della soglia di punibilità dell’omesso versamento dell’IVA, rimasta inalterata.
Tali modifiche, ovviamente, essendo di segno sfavorevole al reo (all’abbassamento delle soglie corrisponde, infatti, un ampliamento dell’area di rilevanza penale), risultano applicabili ai soli fatti successivi alla data di entrata in vigore della relativa legge di conversione (17 settembre 2011). Il problema si pone, pertanto, per i fatti commessi sino alla data del 17 settembre 2011.

Al fine di rimuovere nella sua interezza la riscontrata violazione del principio di eguaglianza si rende allora necessario – conclude la Corte Costituzionale – allineare la soglia di punibilità dell’omesso versamento dell’IVA – quanto ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011 – alla più alta fra le soglie di punibilità delle violazioni in rapporto alle quali si manifesta l’irragionevole disparità di trattamento: quella, cioè, della dichiarazione infedele (euro 103.291,38).

In conclusione: l’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000 è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento dell’IVA, dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo di imposta, ad euro 103.291,38.

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